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Abdourahaman Fentè Sabaly, Senegal, Tambacunda.
Nel piccolo borgo di Casa Matti di Romagnese (Pv), il numero di persone richiedenti asilo è lo stesso degli abitanti: 25.
Venticinque sono i profughi e lo stesso i residenti, quasi tutti pensionati.
L’hotel Alpe, gestito da Maurizio, ha accettato la richiesta della Prefettura di Pavia per uno spirito cristiano e perché vedeva che il paese stava morendo: ormai un numero esiguo passava lì il suo tempo e avrebbe dovuto presto chiudere la sua struttura.
I ragazzi africani (provenienti dalla Nigeria, Senegal, Mali e Gambia) hanno trovato in mezzo alle colline dell’oltre Po, ai piedi del Penice la sponda dove finalmente “arrivare”. Sperduti più che mai, non solo fisicamente, giunti alla fine della parte più pericolosa del viaggio.
All’arrivo dei profughi a febbraio, il piccolo borgo si è subito allertato ed è partita una raccolta firme guidata dal più giovane degli abitanti, Samuel Cuneo. Hanno firmato tutti tranne due persone.
Gli abitanti vogliono che se ne vadano. Non è successo nulla ma la percezione di insicurezza alimentata da pressioni di parte dell’informazione e della politica, sta creando tensioni in paese. Le persone che non hanno firmato si trovano quasi discriminate mentre le altre, fatta la premessa di non essere razzisti e non aver subito alcunché da loro, confermano la perduta pace. Temono che l’inattività in un posto così lontano da tutto li porti a delinquere, che i turisti si spaventino e non capiscono perché portarli dove già non c’è nulla per i residenti stessi. A Casa Matti non c’è nessun negozio, farmacia o servizio pubblico, a parte i due alberghi-ristoranti.
Maurizio cerca invece di coinvolgere i ragazzi nella vita (non certo sfrenata) della comunità montana. Partite di calcio con la locale squadra di Romagnese, richieste per lavori socialmente utili al sindaco: la pulizia delle strade e delle tante mulattiere che attraversano le colline fino al Penice a all�
Nel piccolo borgo di Casa Matti di Romagnese (Pv), il numero di persone richiedenti asilo è lo stesso degli abitanti: 25.
Venticinque sono i profughi e lo stesso i residenti, quasi tutti pensionati.
L’hotel Alpe, gestito da Maurizio, ha accettato la richiesta della Prefettura di Pavia per uno spirito cristiano e perché vedeva che il paese stava morendo: ormai un numero esiguo passava lì il suo tempo e avrebbe dovuto presto chiudere la sua struttura.
I ragazzi africani (provenienti dalla Nigeria, Senegal, Mali e Gambia) hanno trovato in mezzo alle colline dell’oltre Po, ai piedi del Penice la sponda dove finalmente “arrivare”. Sperduti più che mai, non solo fisicamente, giunti alla fine della parte più pericolosa del viaggio.
All’arrivo dei profughi a febbraio, il piccolo borgo si è subito allertato ed è partita una raccolta firme guidata dal più giovane degli abitanti, Samuel Cuneo. Hanno firmato tutti tranne due persone.
Gli abitanti vogliono che se ne vadano. Non è successo nulla ma la percezione di insicurezza alimentata da pressioni di parte dell’informazione e della politica, sta creando tensioni in paese. Le persone che non hanno firmato si trovano quasi discriminate mentre le altre, fatta la premessa di non essere razzisti e non aver subito alcunché da loro, confermano la perduta pace. Temono che l’inattività in un posto così lontano da tutto li porti a delinquere, che i turisti si spaventino e non capiscono perché portarli dove già non c’è nulla per i residenti stessi. A Casa Matti non c’è nessun negozio, farmacia o servizio pubblico, a parte i due alberghi-ristoranti.
Maurizio cerca invece di coinvolgere i ragazzi nella vita (non certo sfrenata) della comunità montana. Partite di calcio con la locale squadra di Romagnese, richieste per lavori socialmente utili al sindaco: la pulizia delle strade e delle tante mulattiere che attraversano le colline fino al Penice a all�
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